Val d’Agri: dal Conflitto alla Gestione del Rischio Ambientale

 

Val d’Agri: dal Conflitto alla Gestione del Rischio Ambientale

La Camera Forense Ambientale esprime la necessità di una compiuta governance ambientale

 

Gli ultimi studi in merito alla Valutazione di Impatto sulla Salute delle popolazioni dei Comuni di Viggiano e di Grumento Nova a seguito della presenza del COVA sul territorio, offrono un’ennesima occasione per
compiere alcune riflessioni sulla gestione del rischio ambientale e dei processi decisionali che ciò comporta. I risultati dell’indagine condotta dall’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, divulgati negli scorsi giorni non possono né devono considerarsi quale mera comunicazione di informazioni, virtuosa dimensione d’istituto che, ancorché pertinente e dovuta, pur tuttavia ne costituisce solo l’aspetto di servizio. E’ necessario saper leggere quei dati facendo riferimento allo scenario in cui si delinea la loro genesi, scenario che è di fatto “interattivo” e “bidirezionale” perché in esso sono coinvolti attori sociali diversi, spesso portatori di interessi, valori, bagagli informativi e culturali eterogenei: istituzioni, imprese, comitati, rappresentati di movimenti ambientalisti o altre forme organizzative spontanee.

Il confronto tra questi soggetti è obiettivamente difficile anche perché, nel campo della sostenibilità ambientale, non possiamo contrapporre un “sapere” degli esperti tecnico-scientifici a un “non sapere” delle istituzioni e del cittadino comune poiché, in molti casi, abbiamo a che fare non con certezze scientifiche ma con stime probabilistiche. Queste ultime, non solo ci dicono poco sulla reale entità di un potenziale danno ambientale nel lungo periodo, ma nella loro asetticità numerica trascurano, nella valutazione di una possibile situazione di rischio, quelle dimensioni che più caratterizzano il tessuto sociale di una data comunità, che ne determinano l’equilibrio e di cui non si può non tenere conto quando scelte e decisioni riguardano un impianto tecnologico o il suo potenziamento. E’, dunque, ormai indifferibile un faticoso lavoro di modulazione e integrazione sistematizzante le diverse componenti economico e sociali presenti sul territorio.
Inoltre, non di poco rilievo è il fatto che nell’analisi di situazioni di rischio spesso gli stessi esperti sono in disaccordo perché anche la loro percezione di nessi di causalità tra un fenomeno e l’altro può essere differente, non solo per i diversi percorsi metodologici che possono legittimamente coesistere nelle valutazioni tecniche ma anche per le peculiarità culturali, valoriali ed etiche di ciascuno di essi. Senza considerare che la crescente incertezza che domina la conoscenza scientifica è pure molto legata agli effetti dei futuri cambiamenti climatici.
Nel tempo ciò ha comportato un certo declino, nella percezione dell’opinione pubblica, dell’autorevolezza dell’expertise tecnico- scientifica, troppo spesso disponibile a ricerche contingenti e di fatto aperte a gravi fattori di confusione analitica e, di conseguenza, sempre meno in grado di offrire risposte rigorose e tali da contribuire a scelte valide da parte dei diversi decisori siano essi istituzionali, imprenditoriali, professionali o civici.
Non è un caso che le Istituzioni, dal canto loro, proprio in ambito ambientale sono entrate in crisi poiché la legittimazione del loro agire ha tradizionalmente trovato ragione di esistere da una parte nella “legalità”, validità di una norma assunta attraverso determinate procedure, dall’altra nella “competenza”, affidamento a capacità tecniche per la risoluzione di storie complesse.
Ebbene, l’attuale vicenda che riguarda il rischio ambientale in Val d’Agri, paradossalmente, è priva del limite della legalità e vacillante sotto il profilo della certezza tecnico-scientifica.

In ordine al profilo normativo, la legislazione ambientale è spesso di natura prescrittiva con l’indicazione di limiti minimi e massimi entro i quali è ammessa la presenza di determinate sostanze potenzialmente inquinanti. Tuttavia, proprio per molte delle sostanze emesse in atmosfera e venute in considerazione nella VIS in questione non esistono soglie limite di legge. In ordine, poi, al profilo competenziale vale quanto detto in precedenza. Tanto è vero che, immediatamente, sono scesi in campo esperti altrettanto qualificati
che hanno espresso opinioni critiche sullo studio effettuato.

Quale soluzione, dunque, adottare al netto di facili demagogie?
E’ necessario, urgente e non più procrastinabile che la nostra Regione superi il metodo tradizionale di command and control fondato solo su alcune leggi e sul ruolo di controllo delle Istituzioni pubbliche, sulla osservanza di taluni limiti mitigatori e costruisca una virtuosa governance ambientale. Un’azione, cioè, più amplia e positiva volta a proteggere complessivamente le risorse naturali secondo un criterio di sostenibilità nell’interesse anche delle generazioni future, coinvolgendo nelle scelte tutti i soggetti compresi quelli giuridici, economici e sociali.
In quest’ottica, appare inutile, come pure si è letto, pensare alla costituzione dell’ennesimo tavolo della trasparenza da istituirsi in Regione anche perché i pareri da esso espressi non avrebbero alcuna natura vincolante –giustamente-, al più consultiva; sarebbe deleterio affidare nuove ed analoghe indagini epidemiologiche a Fondazioni non qualificate da un punto di vista scientifico ed assolutamente autoreferenziali né a soggetti diversi a ciò non deputati perché i dati non avrebbero alcuna validazione e questo moltiplicherebbe solo le incertezze sugli studi a danno esclusivo della popolazione; avrebbe il solo fine di minimizzare la portata del dato l’invocato intervento governativo al fine di fare non si sa bene cosa.

Governance ambientale significa progettare un intervento sul territorio, avere un’idea complessiva di sviluppo e di futuro, conoscere con certezza chi fa cosa e con quali fondi in maniera tale da avere contezza di responsabilità individuali ed impegni disattesi:

1) dare autorevolezza e legittimità al solo soggetto istituzionale locale demandato a compiere analisi e
controlli (Arpab) e per questo dotarlo di risorse economiche consistenti e di personale altamente
competente e qualificato;
2) favorire una partecipazione che non si fermi al livello dell’informazione ma che tenda a costruire un
consenso collettivo e consapevole attraverso cui tutti gli attori sociali possano dare il loro
contributo nella definizione dei termini di un problema, nell’analisi di una situazione di rischio, nel
disegnare la loro terra;
3) richiamare i centri scientifici di eccellenza nazionali ma ancor più internazionali affinché, in uno con
la nostra Università ed il nostro CNR nonché con le importanti risorse professionali presenti sul
territorio, possano far accrescere conoscenze, competenze al fine di effettuare una reale attività
innovativa di ricerca ed attivare percorsi formativi altamente qualificati ed attrattivi per i giovani
del mondo intero;
4) coinvolgere le aziende operanti sul nostro territorio in un serio programma di responsabilità sociale
di impresa affinché siano fattivi collaboratori di un progetto di sviluppo.

Una gestione unitaria e razionale dell’ambiente così concepita potrebbe porre la Basilicata e i suoi interessi strategici ed economici, di qualità della vita e di sostenibilità ambientale, concretamente al centro del dialogo nazionale ed europeo essendo il suo territorio sede del il più grande giacimento petrolifero in terraferma.

In mancanza, come purtroppo accade, saremo destinati ancora per molto a parcellizzare il problema ed a disquisire di validità e certezza dei dati, di depauperamento del nostro territorio, di piccole questioni che troveranno impercettibili soluzioni.

Con buona pace degli interessi di sviluppo dei cittadini lucani.

 

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